Per imparare il mestiere è ormai tardi. Ma continua ancora ad intrigarmi la congiuntura che vide per alcuni decenni Parma, che da capitale si atteggia spesso a sproposito, sfornare veri e propri fuoriclasse del giornalismo, formando quasi una formidabile Nazionale forse mai davvero celebrata a dovere.
Ci sono nomi straordinari, che fanno parte anche della storia della Letteratura: da Giovannino Guareschi ad Attilio Bertolucci ad Egisto Corradi… E c’è un lunghissimo elenco di inviati di rango, che non solo passarono la Parma ma conquistarono Milano e le grandi testate che li mandarono in giro per il mondo a raccontare guerre e altre storie. E c’è perfino l’unicità di quella classe (Terza B) del liceo Romagnosi che di fuoriclasse ne sfornò addirittura tre.
Di due di loro, Giorgio Torelli e Luca Goldoni, si riempiva affettuosamente la libreria della mia casa del borgo d’Oltretorrente, in uno scaffale materno tutto parmigiano che li vedeva insieme ai libri di Alberto Bevilacqua. E allora mi è venuto spontaneo andare in vacanza con due di quei libri dal buon sapore di casa: libri ormai lontani nel tempo (1988 e 1973) eppure nonostante questo, o forse proprio per questo, capaci di descrivere le qualità dei due “gemelli diversi” del nostro giornalismo. Firme di primo piano distribuite fra Corriere e Carlino (Goldoni), Giornale ed Epoca ed altri settimanali (Torelli).
Goldoni inviato nel costume e nei tic di un intero Paese, Torelli rapito (e rapitore delle nostre attenzioni di lettori) dalle singole storie.
“Esclusi i presenti” di Goldoni parla di teleselezione anzichè di smartphone e di Settebello anzichè di Frecciarossa, ma al di là delle tecnologie e delle date ci ritrovi gli Italiani come sono e come sempre stati, fra genialità e cialtroneria, ora simpaticissimi ora insopportabili. “Esclusi i presenti”, come appunto si diceva per una di quelle mode verbali che spesso facevano da titolo ai libri di Goldoni (“Cioè”…) e che oggi continuano ad inseguirci dall’ attimino al mal utilizzato “piuttosto che”.
Come difendersene? Irresistibile l’autodescrizione del “pilota automatico” innestato da Goldoni in presenza di interlocutori logorroici e poco interessanti: “Non ascolto assolutamente il mio interlocutore, ma il mio secondo io riesce perfino a ridacchiare al momento giusto. E alla prima pausa dico: molte grazie, lei mi ha dato elementi non per un articolo ma per un romanzo, grazie e arrivederci”. Tattica perfetta, almeno finchè gli capitò un sottosegretario: al “molte grazie, lei mi ha dato elementi ecc. ecc.” l’atmosfera si fece gelida, e fu poi un collega a rivelare a Goldoni che il grazie era arrivato dopo che il sottosegretario aveva detto “E ora per spiegarmi meglio vi farò un esempio”… “Avevo sbagliato pausa”, capì allora Goldoni.
Quanto a Torelli, è unico nel suo approccio all’intervistato, del quale riesce sempre a cogliere qualcosa di più intimo e rivelatore di quanto non risulti dalle “normali” interviste, nelle quali la ricerca della “notizia” o dell’attualità spesso accorciano il respiro della lettura. Ci sono, in “Una volta con”, personaggi che vanno da Ferrari a Platini, dal futuro papa Ratzinger a Pavarotti e Barilla. Ma per tutto il libro vale una folgorante immagine dedicata al maestro pugliese (e verdiano) Riccardo Muti: “E’ un viso da lampara…Lo vedrei scalzo, sulla sabbia dove si frange l’onda…”.
Tocchi di fuoriclasse, e di quella irripetibile classe Terza B che accanto ai due gemelli diversi vide un terzo straordinario giornalista, che conquistò stima senza muoversi da Parma: Baldassarre Molossi, direttore così raffinato da poter capire e scrivere – in prima pagina – che Ultimo tango a Parigi era film “romantico e casto”. Cose da Nazionale del Giornalismo, appunto: da continuare a studiare…
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