Deportate, denudate, percosse, umiliate, sbeffeggiate, violate… Sembra di sfogliare, sul palco, un dizionario dell’orrore, che da una parte racconta l’umiliazione mentre dall’altra – e sembra ancora di non poterlo credere vero – tratteggia l’abiezione. Fino ai forni crematori, ultima destinazione del viaggio più crudele e vergognoso dell’Umanità nella sua storia più recente.
E’ la storia di “Lucille”, che dà il nome allo spettacolo. Ma ci sono anche Mira, Rebecca, Madlene… e tante altre… e tante ancora che non sono raccontate nello spettacolo ma in quegli anni neri, come quasi tutto è nero sul palco, hanno vissuto lo stesso incubo, spesso concluso con la morte. L’incubo delle donne nei campi di sterminio, negli anni orrendi dell’Olocausto.
Il tono delle attrici di ZonaFranca Parma non si alza mai, è delicato come quando si racconta una favola: e questo fa risaltare ancor più i contenuti raccapriccianti di quei racconti. Dalla fame al sesso subìto, dalle docce al gelo (“Nude come rane d’inverno”) alla femminilità negata in tutti i modi. Come quando nel nero della scena si staglia una rossa cascata di capelli ricci: un tratto fisico che identifica la donna da sempre, ma intanto la voce racconta dei pidocchi, della paura di finire rasata o peggio, come tante altre.
Sta anche in questi accenni apparentemente “minori” rispetto alle violenze più gravi, il senso della quotidianità rubata, invasa, stravolta. Fino al brevissimo e raggelante ultimo racconto: Dora, 17 anni…e il resto della sua breve esistenza lo dice la cenere che dalla mano dell’attrice finisce sul palco, mentre i parallelepipedi che ricordano il Memoriale dell’Olocausto di Berlino hanno composto alle spalle la beffarda tragica scritta dei campi di concentramento “Arbeit macht frei”, sulle note di una struggente canzone.
C’è anche un’ultima piccola “violenza”, che le attrici fanno a sè stesse e al pubblico negandosi altri meritati applausi dopo quello caldo e anche liberatorio del pubblico. Resta “delusa” la voglia di rivederle al proscenio per continuare a ringraziarle: ma si capisce subito perchè il sipario resta chiuso e dietro di esso resta così fissato quel buio. Perchè quel buio non debba mai più ripetersi…
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Ps 1 – Grazie dal cuore alle bravissime Armanda Borghetti, Beatrice Carra, Marina Gabrieli, Licia Gambarelli, Michela Ollari, Alessandra Pizzoni e Franca Tragni che è anche la regista, con Ronnie Guasti e Roberto Bruni ad audio e luci. Per correttezza verso chi mi legge, devo dire che sono orgogliosamente amico del gruppo di Zona Franca, ma quanto ho scritto non è per amicizia: è pura cronaca di una serata emozionante che mi ha ricordato anche l’importanza di spazi culturali come il Teatro del Tempo nel nostro Oltretorrente.
Ps2 – In mattinata a Roccabianca avevo assistito a un altro spettacolo di tema analogo, basato sulle parole che Giovannino Guareschi seppe trovare per raccontare i suoi due anni in un lager. Uno spettacolo per le scuole, anche questo molto potente: e leggendo oggi di un gruppo di estrema destra che ha cercato di entrare ad Auschwitz (immagino uscendo da qualche fogna) dobbiamo essere grati a chi tiene viva la fiammella di una memoria che dobbiamo conservare oggi più che mai.
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