Niente di meglio, per staccarsi dalle tediose polemiche dei social: quelli che se scrivi che i casi tornano ad aumentare “fai terrorismo!”, quelli che sostengono che “l’emergenza covid è finita” e poi il giorno dopo titolano “fermate i migranti che sbarcano con il virus”, e anche quelli che – con fanatismo opposto – se la prendono anche con chi semplicemente esce di casa e va al bar… Problemi
del millennio che ha smarrito il buon senso, il confronto, le sintesi. Problemi altrui.
Io da casa e da Parma esco regolarmente, anche se può sembrare strano: non eravamo finiti in un “regime illiberale” che con l’emergenza maschera il controllo delle nostre libertà…? La risposta arriverà a settembre: adesso i teorici della “dittatura di Conte” sono quasi tutti in vacanza, e spesso sono gli stessi che a marzo dicevano che a causa del governo (non del covid, che “non esiste”, ma del governo) avrebbero dovuto chiudere baracca e burattini e mendicare per le vie del centro…
Sono sinceramente felice che le cose vadano meglio del previsto. E anch’io dò il mio piccolo contributo alla ripresa della vita: torno al cinema dopo 6 o 7 mesi; rivivo l’atmosfera amichevole dell’arena estiva dell’Astra. Tutto è organizzato a puntino: prenotazione telefonica, posti singoli o accoppiati per congiunti, sanificante, entrata e uscita funzionali. E mascherine, ovviamente.
Ne valeva la pena. Non solo per ritrovare la gioia del rito del cinema sul grande schermo, e appunto all’aria aperta. Ma anche per la possibilità di vedere un bel film, sulla sempre toccante storia umana e artistica di Antonio Ligabue. Che Elio Germano interpreta in modo non meno straordinario di come ricordavo (e lo andrò a rivedere su Raiplay) il Flavio Bucci di fine anni ’70. Che Matteo Cocco fotografa regalandoci lo stupore ammirato di alcuni scorci di Po e di interni opprimenti. Che Giorgio Diritti dirige con momenti sicuramente Olmiani e forse in effetti con qualche difetto che leggerete nelle varie recensioni.
Ma nel complesso è un film bello, da vedere assolutamente. Anche per ripercorrere quella particolarissima vicenda che ci ha regalato opere stupende e uniche. Funzionano anche i sottotitoli, ora per il tedesco ora per il dialetto delle nostre parti. E c’è anche una sorpresa parmigiana: l’apparizione del collega (nel senso di giornalista, non di attore…) Gabriele Majo, nella parte di uno dei tanti che si trovarono a misurarsi con fatica con l’arte di Ligabue.
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