Il più bel giallo Parma lo ritrovo nella locandina all’ingresso della sala congressi del Monoblocco. E’ la Festa della Riconoscenza numero 20, e già nel numero degli anni trascorsi (che poi in realtà sono 23, dai primi approcci in corsia d’ospedale) c’è tutta la sostanza della bella storia di Giocamico.
“Quanto importanti siete!” è l’affettuoso saluto di Gian Carlo Izzi. E non è facile inserirsi a ricordare quanto importante fu soprattutto lui, primario controcorrente che si mise in testa di far riconoscere il bambino malato prima come persona che come malato. Scaravoltando (lo dico con questa parola di quasi dialetto che rende l’idea perfino nel suono) molti riti di reparto: di quelli su cui si basa la quotidiana organizzazione di caposala, medici, personale…Ma poco per volta la rivoluzione gentile di questo medico mite ma determinatissimo si è compiuta, fino ad essere premessa indispensabile per quell’Ospedale del Bambino che oggi si mostra a colori lungo i viali del Maggiore, e che presto (come annuncia alla fine il direttore Fabi) si arricchirà di una Rianimazione pediatrica e avrà un collegamento ideale e di filosofia con il nuovo reparto Maternità che sarà concepito come l’Ospedale della Mamma. E si è compiuta anche con l’aiuto determinante di questa associazione, che porta nelle stanze alcune fondamentali pause di gioco per i bambini, e di alleggerimento per famiglie improvvisamente catapultate nella realtà drammatica del loro bambino malato, a volte anche gravemente.
Ci arrivo partendo dalla fine, quando anche un chirurgo, Emilio Casolari, lo dice quasi col groppo in gola: “In 20 anni mai un intralcio”. Significa che quella rivoluzione si è realizzata anche nel segno dell’efficienza e della velocizzazione (come certificano da medici Bertrand Chana e Icilio Dodi). E trova parole efficacissime la direttrice dell’Oncoematologia pediatrica, Patrizia Bertolini, che pur ricordando di essere una che spesso richiama tutti all’ordine aggiunge: “Ho sentito sulla mia pelle quanto è mancato Giocamico nella pandemia, e quanto possa essere bello avere confusione intorno!”.
Che cos’è Giocamico? Beh, avete un’idea di che cosa siano oltre 10mila ore di gioco e di compagnia davvero da amici, nonostante le difficoltà del Covid, ai piccoli pazienti? Lo spiega, in numeri, chi dell’idea e della organizzazione di Giocamico ha un grande merito, poi condiviso con una splendida squadra: Corrado Vecchi. E dietro i numeri, già eloquentissimi, ci sono storie di grande calore, che magari iniziano con un rabbioso “Vai via!” da parte di bambini che a loro volta devono da un giorno all’alto calarsi nei panni del malato. Ma poi arriva sempre un sorriso, si sciolgono le diffidenze e inizia il gioco: il Giocamico. Sono stanze nelle quali è sceso il buio e dove improvvisamente si riaccende una nuova luce, come testimoniano insieme i volontari e i familiari. Come una mamma che torna da anni a dire il suo grazie, e ogni volta si emoziona di fronte a quella provvidenziale capacità di darsi per gli altri in un momento di bisogno: un salvagente per chi si trova tirato a fondo senza esserne preparato.
Occorrerebbero intere pagine di giornale, per raccontare le iniziative (dalle Favole della buonanotte all’allargamento sul territorio, ai servizi d’appoggio durante il Covid, comprese le 400 penose chiamate ai familiari di persone decedute per Covid per il ritiro degli effetti personali… ). E occorrerebbero intere poagine di giornale per registrare le voci e le frasi: “La stanza mi ha insegnato molto”, “Fare il Giocamico mi toglie la stanchezza di una settimana di lavoro”, “E’ stupendo riuscire a far sorridere, mentre magari anche a te scende una lacrimuccia”. E il riconoscimento più bello è sentirsi dire: “Si vede che sei una Giocamica: non sei una bambina ma hai la fantasia di una bambina!”.
Sì, è riscoprendo il bambino che tutti abbiamo dentro – innanzitutto in termini di limpidezza e positività – che anche nelle stanze dove a tratti entra l’angoscia si vivono momenti belli, di gioia pura. Una volontaria chiude le bellissime parole del suo racconto al Barbieri descrivendo il suo sorriso che – nel trasportare una porzione di anolini in brodo – oltrepassava la mascherina e ogni altra bardatura.
Ma la cosa più bella è nel guardare all’età media della sala. Guardare i visi e i sorrisi di volontarie e volontari spesso under 30: la Meglio Gioventù, che mentre noi ci attardiamo a parlare di proteste e di pretese non ha rinunciato a donarsi agli altri neppure di fronte alla pandemia. Non ha piegato alla…DAD anche la solidarietà e la possibilità di regalare un sorriso.
Un meraviglioso esempio a colori, fiore all’occhiello di una città che ha purtroppo dimenticato che essere fuori da quei viali e da quelle stanze è una fortuna, che dovrebbe spingerci quotidianamente oltre i nostri sempre più frequenti egoismi.
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