Una visione surreale: a un certo punto della proiezione ho immaginato che gli spettatori del D’Azeglio (numerosi oltre ogni previsione per un film di 6 decenni fa) restassero alla fine incollati alle poltrone a piangere. Non per il film, di cui poi diremo, ma per lo sconfortante e tragico catalogo che stava sfilando sotto i nostri occhi: dalla vergogna
del Muro di Berlino agli echi della seconda guerra mondiale, alle dittature, alle rivolte, ai morti dall’una o dall’altra parte, agli incidenti di piazza, alle vendette, alla pena capitale, ai nuovi venti di conflitto nucleare…
E quella domanda iniziale: “Perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall’angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra?”. Scritta 60 anni fa eppure ancora minacciosamente viva davanti a noi ogni giorno, fra le notizie sull’orrenda guerra in Ucraina e sugli altri conflitti mondiali e su problemi che l’umanità non solo non ha risolto ma ha semmai aggravato.
“E’ un pugno nello stomaco” mi ha detto qualcuno all’uscita. E basterebbe questo per dare merito a Primo Giroldini di avere organizzato (quasi una coda alla rassegna pasoliniana dell’Astra, stavolta all’interno del Parma Film Festival) una proiezione del film “La Rabbia” che a Parma città è la prima del millennio e la seconda di sempre, dopo uno sporadico 1977 e dopo il Festival di Busseto 2020 grazie a Egidio Bandini… Proiezione impreziosita dalla presenza a Parma di Roberto Chiesi, certamente uno dei più felici saggisti di questo anno centenario pasoliniano, prima con la collaborazione a “Tutto Pasolini” poi con il suo recentissimo “Il fantasma del presente” che di Pasolini analizza il fondamentale e conclusivo quinquennio 1970-75. Ascoltarlo e dialogare con lui, partendo anche dal mio recente libriccino proprio sulla Rabbia, è stata una preziosa opportunità di arricchimento, per chi da qualche tempo si è incuriosito alla storia e ai contenuti di questo strano film.
La sensazione finale è che della Rabbia vadano date due letture: quella storica del 1963, con tutti i limiti di quel “docu-film”, l’insuccesso, le polemiche fra i due registi Pasolini e Guareschi, il ritiro quasi immediato della pellicola dalle sale e l’oblìo successivo. Ma 60 anni dopo, per assurdo e proprio per le ragioni che ricordavo all’inizio, ci può essere della Rabbia una lettura più matura e perfino più interessante. Certo, il film è datato e a tratti noioso, e con limiti e difetti in entrambe le parti. Ma perfino nei difetti, Pasolini e Guareschi ci regalano la loro appassionata onestà, la loro carica ideale e disinteressata, la voglia di analizzare il mondo per farlo crescere: se ci sono abbagli (e ci sono per entrambi, a volte anche gravi) sono certamente in buona fede.
E poi, quante perle si nascondono fra quei difetti ! Il lirismo di Pasolini è una straordinaria sfida intellettuale, che culmina nello stupendo e struggente inserto (4 minuti: li trovate su You Tube così come il film completo) su Marilyn Monroe. Guareschi, da parte sua, sembra abbassare il livello, e a volte lo fa davvero, ma ha a sua volta intuizioni straordinarie, ad esempio su URSS, Cina e…USA. Già, perchè l’anticomunista e reazionario Giovannino non fa sconti neppure allo zio Sam.
Si esce davvero sconfortati e insieme rigenerati, da una simile generosità intellettuale, pur con risultati a volte affrettati e talvolta infelici (soprattutto una parte delle considerazioni che Guareschi dedica all’Africa). E per parafrasare il famoso articolo di Pasolini sulla scomparsa delle lucciole, darei una intera multinazionale per riavere oggi – a sinistra e a destra – due intellettuali, o meglio due persone, così. Davvero spero che da qui ad aprile, quando saranno esattamente 60 anni dalla sua effimera e ingloriosa uscita nelle sale, della Rabbia, di Pasolini e di Guareschi si riparli tanto: anche a Parma.
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