E’ stato scenario anche di film importanti e spettacolari (Ladyhawke, ad esempio). Ma quello che si sta girando in questi mesi a Torrechiara è davvero il film più brutto: e il rischio

è che le prossime scene siano ancora meno entusiasmanti.

Riassumo in due parole, premettendo – nel Paese dei troppi esperti improvvisati su facebook – che io non sono esperto nè di economia, nè di urbanistica nè di ambiente. Ma una cosa la so: lo spettacolo del Castello di Torrechiara e del paesaggio che lo circonda è unico. Unico nella nostra provincia, ma di rara bellezza anche a livello nazionale (e non solo, visto che ogni tanto vi arrivano anche turisti dall’estero). E quindi, molto semplicemente e in un modo che dovrebbe essere ovvio, e perfino superfluo discutere, a NESSUNO può essere permesso di contaminare questa meraviglia. Nè gli dovrebbe venire in mente.

Questa è l’inevitabile base di partenza per qualsiasi discussione sul progetto di costruzione di un nuovo salumificio della Galloni. Se deturpa la vista del Castello non si può e non si deve fare. Punto. Che si tratti del progetto n. 1 o n. 2 o n. 1000.

Quindi, la manifestazione che si terrà domattina a Torrechiara da parte della associazioni ambientaliste – vedi locandina qui sotto – non solo è legittima (e ci mancherebbe), ma anche condivisibile, per quanto mi riguarda e per modestissima opinione personale.

Ma la vera sfida sarà quella del lunedì, ovvero del giorno dopo e dei prossimi mesi. E qui occorre fare tutto il contrario di ciò che sta avvenendo (muri contrapposti, progetti quasi segreti, posizione del Comune da inquadrare meglio: ripeto che non amo dare giudizi su aspetti che non conosco, ma il tema ha certamente un interesse che va ben al di là del Comune di Langhirano). Senza certo sottovalutare l’interesse economico e occupazionale che una nuova struttura può avere, tanto più in momenti come questo, ma senza anteporlo a un interesse che è di tutti noi: ovvero gustare quella meraviglia che Storia e Arte ci hanno consegnato, non certo perchè la deturpassimo.

La sfida vera, per entrambi gli schieramenti, è quella di non foderarsi gli occhi di…prosciutto, vedendo solo una parte della questione. Sul piatto ce ne sono due: quella paesaggistico/ambientale (prevalente) e quella economica, ricordando però che anche il Castello significa qualcosa, non irrilevante, per l’economia del territorio.

Io non conosco il signor Galloni, ma ho sempre sentito parlare in modo elogiativo delle sue qualità di imprenditore, ad esempio per come l’azienda seppe affrontare la calamità di un grosso incendio. E anche se sarei certamente negato per il suo mestiere, mi sono sempre sentito ripetere – in tante interviste a esponenti della categoria – che il segreto dell’imprenditore è quello di guardare al futuro con ottimismo e lungimiranza.

Ecco: guardare al futuro oggi significa contribuire non solo a costruire nuovi stabilimenti, ma soprattutto a costruire un nuovo tipo di sviluppo, che sia compatibile con l’ambiente e che – tra le “fonti” rinnovabili – contempli anche quella Bellezza che dovrebbe essere tra le prime risorse di un Paese come l’Italia. Ci sono, proprio a Parma, aziende che hanno costruito parte delle proprie fortune con una campagna di marketing e con prodotti legati anche ad una ben precisa filosofia (leggi Mulino Bianco). Bene, allora invece di incaponirsi in una battaglia che non potrebbe non apparire egoistica, e quindi non so quanto positiva per l’immagine, perchè non costruire una alternativa che avrebbe il plauso di tutta una comunità (ripeto: non solo langhiranese)?

E perchè non costruirci sopra un marketing positivo, basato proprio sul rispetto della bellezza del Castello? Neppure questo è il mio campo, ma credo che qualche esperto del ramo saprebbe ben costruire slogan (un “Prosciutto del Castello”?) e iniziative (sponsorizzazioni a favore del Castello? Sconti per chi dopo una visita al Castello si recasse a far spesa di prosciutto nella nuova area?). E non ditemi che quella di cui si parla è l’unica area langhiranese adatta alla costruzione di uno stabilimento efficiente.

Ovviamente, il “non foderarsi gli occhi di prosciutto” varrebbe anche in senso inverso, per chi altrimenti rischierebbe di essere descritto sempre e solo come il partito dei “No”. Una disponibilità del genere meriterebbe di essere premiata: se la storia avesse un lieto fine, per merito della stessa azienda, meriterebbe di essere divulgata, appunto come esempio positivo di come si possano comporre i contrasti in una piccola comunità. E soprattutto di come si possa finalmente ipotizzare uno sviluppo nel quale la componente economica non debba scontrarsi con esigenze legate all’ambiente o ad altro.

Se gli si trovasse un adeguato “storytelling”, come si dice oggi, è un racconto che farebbe notizia in tutta Italia, con ricadute aziendali certo più favorevoli rispetto ad una battaglia comunale o provinciale. Possibile che non ci si riesca, proprio nella terra delle intelligenti composizioni fra Don Camillo e Peppone?

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