È entusiasmante e sconfortante insieme leggere quelle 300 pagine che ad oltre 30 anni di distanza restituiscono un livello ed una intraprendenza intellettuali che oggi è difficile ritrovare a Parma, se non
a sprazzi.
Fra Pasolini e Bertolucci, fra i Barilli e Zavattini, fra Pezzani e Guareschi… E le fondamenta proustiane, la suggestione di Stendhal, le apparizioni dei Montale o dei Calvino… C’è da stupirsi, prima ancora che da restare ammirati, nel leggere la sequenza delle iniziative e delle curiosità che illuminarono la cultura letteraria a Parma per tanti decenni del Novecento.
Fra poesia, narrativa, critica letteraria e d’arte (compresa quella cinematografica che Parma capì e valorizzò come poche altre città di provincia) e…giornalismo, che altrove fu una cenerentola snobbata, ma che qui fu a sua volta strumento di conoscenza e palestra di scrittura per tanti autori. La Gazzetta reca ancora, nelle cronache, tante firme illustri di chi poi diventò narratore o poeta o comunque seminatore di cultura (Bertolucci, Guareschi, Pietrino Bianchi…). Il Raccoglitore e Palatina, nati fra giornalismo e dibattito culturale, sono tuttora preziosi esempi di divulgazione, e forse anche una ricetta per i giornali italiani in crisi anche per avere abbassato l’asticella dei contenuti.
Sono passati – dicevamo – oltre 30 anni da quel convegno. L’Officina parmigiana, per fortuna, non ha del tutto chiuso i battenti (c’è anche una interessante pagina facebook sull’Officina Parmigiana 2.0): di libri se ne scrivono, e forse qualcuno dirà che sono anche troppi; ci sono iniziative culturali ragguardevoli (penso, recentemente, alla mostra su Pasolini realizzata da Primo Giroldini o agli incontri alla Famija pramzana grazie al generoso e competente attivismo di Mirella Cenni e Paolo Briganti, agli incontri che si devono alla mai sopita passione di Roberto Ceresini…). Ci sono le tante attività dell’Università e c’è ancora la Gazzetta con un bell’inserto domenicale, oppure ci sono librai intraprendenti e bravissimi, così come alcuni editori, nonostante le non piccole difficoltà del settore.
Ma allora che cosa manca? Mancano soprattutto due cose.
La prima è lo studio. Il libro che racconta il convegno sull’Officina parmigiana ci ricorda che il primo passo per scrivere è…leggere. Leggere i grandi, leggere e valutare gli esordi vicini a casa (quanto fu impoertante e prezioso Giuseppe Marchetti!), incrociare le esperienze, confrontare…
La seconda cosa che manca rispetto a allora è la coesione. E’ importante che riapra o resti aperta l’Officina, ma non è meno importante che sia – per davvero – Parmigiana: che coinvolga cioè le istituzioni, politiche o culturali che siano. E’ importante che i mecenati privati e le associazioni (quanto fu importante in questo un Pietro Barilla che ebbe un ruolo importante nel convegno nazionale sul Neorealismo!) capiscano che lo sviluppo di Parma non è fatto solo di infrastrutture dal futuro più o meno fragile, ma anche – e soprattutto? – dal livello culturale che sostenga i dibattiti e le scelte.
Non è un tema astratto: le peggiori scelte amministrative (pensate al Monumento a Verdi distrutto, oppure alla inguardabile nuova Ghiaia) sono nate quando non se ne è parlato abbastanza. Viceversa: un dibattito vivo e culturalmente aperto ha evitato disastri in Piazza della Pace.
Non solo: se c’è una speranza di governare nel modo migliore una città che è già e sarà sempre più multietnica, questa è riposta proprio nella Cultura: nell’individuazione e condivisione dei modelli letterari, artistici, imprenditoriali e personali (penso a Padre Lino, e alla poesia del Pezzani che lo racconta) che hanno fatto crescere Parma. Modelli da imitare: per i nuovi parmigiani che arrivano da lontano, ma anche per noi. Sì: riapriamo e moltiplichiamo le Officine Parmigiane, e studiamo le splendide eredità che la nostra città ha avuto in regalo da secoli lontani (pensate a Antelami o Salimbene) ma anche da decenni più vicini.
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