Ci mancheranno, ancor più che in passato. E non è solo l’effetto degli anni che passano e rendono sempre meno scontato un appuntamento quadriennale, bensì una serie di

emozioni e insegnamenti che le Olimpiadi di Parigi ci hanno regalato forse più che in altre edizioni.

Prima ancora che gli atleti, qualcosa ci hanno insegnato anche gli organizzatori, nel bene e nel male. Fin dalla cerimonia inaugurale, con il nostro Capo dello Stato lasciato vergognosamente sotto l’acqua e con una profusione di temi certamente spettacolari ma anche sovrabbondanti e non sempre di buon gusto. Un difetto che ci si è poi trascinati dietro per tutta la manifestazione, con un simbolo su tutti: la Senna, ovviamente affascinante (come lo erano tanti altri scenari delle gare), ma nelle condizioni ambientali che tutti sappiamo, al punto da avere conseguenze anche fisiche per qualche atleta. Ecco: per la grandeur parmigiana, che spesso affiora al punto da autodefinirci “piccola Parigi”, avere visto le esagerazioni della grandeur originale parigina potrebbe essere il primo ammonimento, ad essere ciò che siamo cercando il massimo ma sapendo poi pragmaticamente e intelligentemente accontentarci.

Poi i risultati. Anche stavolta strepitosi, come e più che a Tokyo: e in ogni medaglia c’è la sintesi di lavoro, pazienza, ambizione, sacrificio. Lo ha ripetuto nei giorni scorsi uno che ne capisce parecchio: Arrigo Sacchi, che non ha risparmiato il paragone con l’Italia del calcio e ha invitato a fare tesoro delle emozioni e soprattutto degli esempi di chi ha “lavorato tantissimo lontano dai riflettori”.

La seconda riflessione è che è difficile raggiungere l’eccellenza nello Sport, ma ancor più difficile è arrivare all’eccellenza…dell’eccellenza, tanto più in discipline nelle quali (come nella finale dei 100 metri) le differenze sono minime e una vittoria si decide sul filo dei millesimi o di altri dettagli a seconda dei singoli sport.

Forse anche per questo, c’è stato qualcosa di nuovo a proposito dei quarti posti. Ci eravamo abituati a chiamarle “medaglie di legno”, quasi un trofeo alla delusione: poi, anzi quasi subito, è venuto il quarto posto di Simona Quadarella, con relativo strascico di commenti. Ma l’atleta – uso ancora le parole di Arrigo Sacchi – “ha mostrato fair play e soprattutto una notevole capacità di autoanalisi e autocritica”, e da lì è iniziata una sfilata di quarti posti (l’Italia ha vinto questa particolare e non invidiabilissima classifica) che finalmente la maggior parte dei tifosi ha accolto con la giusta cultura sportiva: non con delusione ma con rispetto per chi aveva saputo comunque sfiorare il tetto del mondo.

Un capitolo a parte, fra i non vincitori, va poi riservato a Gimbo Tamberi. Si potranno dire mille cose (ma ha senso che lo facciano solo medici e addetti ai lavori) sul suo percorso di avvicinamento a Parigi; si potrà discutere (ma non nell’ultima settimana) sul suo essere sempre sopra le righe e con qualche eccesso di esibizionismo; ma la sua serata in pedana a poche ore da una dolorosissima colica renale è stata una coinvolgente e perfino commovente prova di coraggio, non premiata dal risultato (ma questo sarebbe stato quasi impossibile) e con quelle lacrime che ci hanno fatto sentire Gimbo forse più vicino ed umano di tante altre vittorie. Toccherà ora a lui, ma anche a noi, capire il valore di una battuta a vuoto che però non è una sconfitta. Anzi…

Infine, ovviamente, non si possono non cogliere le tante lezioni della splendida medaglia d’oro della pallavolo: dall’eccellenza (anche qui), al giocare con il sorriso (e non solo per modo di dire), allo spirito di squadra che troppo spesso dimentichiamo in tanti settori, e infine alle opportunità che non solo nella pallavolo ci ha mostrato la nuova Italia multiculturale. Purché si lavori per una vera e reciproca fusione, anziché arroccarsi in discorsi che si possono definire da medioevo. In generale…

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