Da spettatore privilegiato di prima fila, ho assistito a due incontri sul libro “Pasolini e Parma”. Una pubblicazione che
a mio avviso può diventare una vera miniera di spunti culturali per la città e che potrebbe essere il prototipo, che più avanti spiegherò, di una nuova filiera che coinvolga editori, librerie, autori e non solo.
Ma andiamo con ordine. Il libro, curato da Primo Giroldini come già la mostra che due anni fa onorò anche in chiave parmigiana il centenario della nascita di Pasolini, è stato presentato in via Farini nella sede del MUP (editore della pubblicazione) e ha poi dato spunto per un incontro nella sede della Famija pramzana. In entrambi i casi con un bel seguito di pubblico: e anche questo non è un dettaglio né è cosa scontata.
Spiego il piacere ed elimino il “conflitto di interessi” dell’essere stato spettatore privilegiato di prima fila: nel libro ci sono anche alcune pagine nelle quali ho parlato del film-documentario La rabbia che Pasolini firmò a quattro mani contrapposte con Giovannino Guareschi. Ma ciò che sto per scrivere lo scrivo essenzialmente da lettore del libro, che è veramente un valore aggiunto rispetto alla mostra di due anni fa (non un semplice catalogo a posteriori, dunque) e anzi amplia e rinnova gli spunti di allora.
Primo Giroldini è stato davvero bravissimo nel reperire materiali spesso inediti, come sceneggiature e progetti che legarono negli anni ’50 Pasolini ad Antonio Marchi e alla Cittadella Film, in un contesto che toccava nomi come Giorgio Bassani o Luigi Malerba, oltre ovviamente ad Attilio Bertolucci, per darvi un’idea di quali fecondi fermenti vi fossero in quel dopoguerra e in quegli anni di ricostruzione anche culturale. Nel suo capitolo, Giroldini sintetizza una serie di agganci fra Parma e Pasolini che lascia a bocca aperta, perché ci sono versi pasoliniani, c’è l’amicizia con Mario Colombi Guidotti, c’è il significativo premio parmigiano (proprio alla memoria di Colombi Guidotti prematuramente scomparso) al “Ragazzi di vita” nel frattempo bersagliato dalla censura. E c’è poi quel doppio straordinario debutto cinematografico (Accattone) di un regista che avrebbe lasciato il segno da lì a Salò – pur sempre fra mille difficoltà e “scandali” – e di un aiuto regista che da lì avrebbe poi spiccato il volo fino agli Oscar: Bernardo Bertolucci…
A questo binomio fra Pasolini e Bernardo si arriva passando ovviamente per Attilio: e di questo si occupa nel libro quello che è oggi in Italia il principale studioso pasoliniano, ovvero Roberto Chiesi, con un capitolo a sua volta ricco di spunti, così come è già preziosa l’introduzione di Tullio Masoni, il quale ricorda che Pasolini è – in tanti sensi – un “sopravvissuto”, anche rispetto ad altri suoi contemporanei che oggi forse si fanno ricordare meno di lui.
Si aggiungano i saggi di Mirko Grassi, che approfondisce i rapporti con Marchi e Bassani, e di Piero Spila che si addentra sulla fratellanza (non priva di contrasti) fra Pier Paolo e Bernardo, e già avremmo un quadro stimolante. Ma non è finita, anzi: uno dei capitoli più vivi, e ineccepibilmente sorprendenti rispetto a un dato che sembrava assodato per la cultura di casa nostra, è quello firmato da Paolo Briganti, che col rigore del docente universitario (quale è stato per decenni), ma anche con la chiarezza del divulgatore, spiega che la famosa medaglia della “Officina parmigiana”, etichetta in effetti splendida che Pasolini coniò per il movimento soprattutto poetico della nostra città in quegli anni ’50, insomma…ehm ehm…ok: a dirla spiana non corrisponde affatto (se si legge bene quel saggio) a un giudizio lusinghiero sui nostri poeti, a parte ovviamente Attilio Bertolucci col quale affetto e rispetto e stima reciproca non vennero mai meno. E questo, naturalmente, può aprire ulteriori feconde discussioni.
Ci sono tante e tali suggestioni, nelle 180 pagine del libro, che paradossalmente verrebbe voglia di mettersi subito in caccia anche di quelle che si sono potute solo accennare: pensate al valore letterario di un soggetto cinematografico pasoliniano legato al Rosso Malpelo di Verga…
Ma già quello che c’è potrebbe alimentare un 2025 non meno proficuo. Siamo infatti alla vigilia del mezzo secolo dalla morte violenta di Pasolini (2 novembre 1975), nel quale celebrazioni e rievocazioni fioccheranno. E Parma, con tante eredità da approfondire, potrebbe e dovrebbe fare la sua parte.
Qui, allora, mi collego con la seconda parte del titolo di questo articolo, che riguarda anche librerie e case editrici. E’ noto, e comprensibile, che di solito la pubblicazione di un libro si abbini alla sua presentazione: non diremo che le librerie se ne contendano la sede, ma è anche logico che ovunque si svolgesse la prima presentazione (come in questo caso al Mup ovvero nella sede degli editori) poi le altre librerie storcerebbero il naso di fronte alla proposta di un bis che saprebbe un po’ di minestra riscaldata.
Mai come nel caso di “Pasolini e Parma”, però, io penso che ci sia anche una strada alternativa, forse interessante per tutti. Non si tratta, infatti, di allestire presentazioni in fotocopia, che in effetti funzionerebbero poco, bensì di moltiplicare e incrociare gli spunti che un libro può offrire anche in relazione al taglio e alla “community” di ogni singola libreria.
MI spiego: fossi Feltrinelli allestirei in gennaio un dibattito su Pasolini a 50 anni dalla morte rispetto alla società e alla politica; fossi in Fiaccadori riprenderei lo spunto del regista ateo che si inventa quello che forse è il più bel film su Cristo; fossi altre librerie punterei sul cinema o sulla poesia (e sulla già citata rilettura dell’Officina parmigiana) o sulla censura o sullo strano accostamento a Guareschi ecc. ecc. Se non per tutti, ci sarebbero spunti per almeno 4-5 incontri: e non mancherebbero certo i libri di cui parlare (da Malerba a Mircea Ellade ai Passaggi di Dogana che a Pasolini dedicheranno un libro su Roma) neppure per gli indipendenti Alice e Antonello dei Diari di bordo.
In sintesi, dovremmo iniziare a sfruttare i tanti libri che escono a Parma anche come occasione per trasformare le librerie in punti di incontro culturale: farebbe senz’altro crescere la città, e spero anche i fatturati di editori e librai. Pensiamoci…
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