Senza virgola dopo Lino nel titolo. Perché Padre Lino “é”

l’esempio. E’, come scandiva il sottotitolo del libriccino a lui dedicato recentemente, “La più bella storia parmigiana”, anche se per la verità il protagonista è un croato. E non sarà l’unico caso, come vedremo nelle prossime puntate, in cui lo spirito della Parmigianità migliore è stato indicato da non parmigiani…

Su Padre Lino dovrebbe ormai esserci poco da raccontare che già non si sappia. Ma se dovessi spiegare il suo esempio e i suoi valori a un nuovo arrivato a Parma (oppure a tanti di noi parmigiani…) partirei dalla fine. C’è davvero tutto nelle ultime ore di Padre Lino e in ciò che ne seguì. C’è l’ultimo sforzo di un fisico ormai debilitato dalle maratone di generosità per i borghi di Parma, per poter arrivare a Casa Barilla e raccomandare l’assunzione di un uomo con gravi necessità. E poi c’è la storia – che oggi apparirebbe impossibile o incredibile – di un intero carcere nel quale i detenuti prima chiedono di poter costruire la bara per l’ultimo viaggio del loro cappellano, e poi ricevono il permesso di poterlo accompagnare al cimitero, riassaporando l’aria e le tentazioni della libertà senza che nessuno ne approfitti. E alla fine tutti tornano disciplinatamente in San Francesco, con gli occhi lucidi per chi aveva saputo ascoltare e parlare anche a loro, e anche a loro aveva riconosciuto la dignità dell’essere uomini.

Padre Lino aveva davvero parlato con tutti e rispettato tutti: dall’industriale al povero, fino appunto ai carcerati: fino a nascondere sotto il saio un neonato, per mostrarlo in cella al padre detenuto e far gustare anche a lui la gioia della paternità che i regolamenti gli avrebbero negato. In Padre Lino c’è la difesa della Chiesa dell’Annunciata dai manifestanti che vogliono incendiarla, e c’è la difesa dei manifestanti quando a Lucca sono sotto processo dopo i disordini seguiti ad uno sciopero. Ed anche lì, le parole e il carisma di quello strano frate francescano valgono per i giudici più di ogni altra testimonianza: e gli imputati, assolti, potranno tornare dalle loro famiglie.

Un esempio che merita il ricordo e l’omaggio che ancora – ad un secolo dalla morte – i parmigiani tributano alle sue statue: al cimitero della Villetta come in Piazzale Inzani. Il suo insegnamento, valido per chi crede come per chi non crede, è racchiuso in quei tre meravigliosi verdi in dialetto di Renzo Pezzani, che ancor oggi ci parlano:

“Chi gh’à rughè in sacossa an gh’à catè

che una coron’na e dill gran brizi ‘d pan:

al pu bél testamént ch’a lassa un frè”.

(Chi gli ha frugato in tasca non ci ha trovato

che una corona e tante briciole di pane:

il più bel testamento che un frate possa lasciare”).

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