“At cavariss ‘n orècia!” (Ti strapperei un orecchio) disse il tifoso al culmine della discussione. E lui,

Carlo Righi, collaboratore della Gazzetta che da tempo seguiva il calcio dilettantistico e che era oggetto delle accese lamentele di un tifoso alla vigilia di un derby di Strapaese, di fronte alla minaccia guardò con calma l’interlocutore e gli rispose “E pò có n’in fèt…?” (E poi che cosa te ne fai…?).

Scoppiarono tutti a ridere, e anche il minaccioso tifoso finì per rabbonirsi, e la discussione finì a salame e lambrusco, come è giusto che accada tanto più per una partita di calcio…

Ho rubato questo vecchio racconto di mio fratello per sintetizzare un altro aspetto di una parmigianità che noi per primi spesso finiamo per tradire: la capacità di confrontarsi con serenità, senza aggressività anche solo verbale. Cosa che soprattutto in epoca di social avviene sempre meno.

Non è certo un problema solo parmigiano: in queste ore ho seguito su facebook alcuni scambi fra tifosi interisti e milanisti dopo la rocambolesca finale di Supercoppa: sono pieni di insulti, oltre ai più comprensibili sfottò sul filo dell’ironia. Leggendo quei commenti (ma quando perde il Parma nel tono non ne siamo molto lontani…) ho pensato che stiamo perdendo proprio la caratteristica che citavo nell’aneddoto iniziale, e che nel primo “pilastro della Parmigianità” avevo indicato insieme al Buongiorno: la capacità di sorridere, degli altri e soprattutto di noi.

Faccio anche la mia parte di autocritica: i social e la loro frettolosa sintesi ci hanno fatto diventare tutti un po’ più bruschi. Poi qualcuno va oltre: non credo che questo faccia vivere bene. Dobbiamo quindi davvero recuperare la capacità del confronto, che può essere duro ma rispettoso. Anche in politica: se spesso si cita l’omaggio del segretario missino Almirante davanti alla bara del segretario comunista Berlinguer, io ricordo un Consiglio comunale nel quale il missino Busi difendeva con calore le proprie posizioni di destra, ma aveva e ricambiava il rispetto personale con gli avversari politici della giunta allora socialcomunista. Oggi, anche dalle parti del Municipio, il livello del confronto si è indubbiamente abbassato.

Studiare per un anno un film che ha messo a confronto due personaggi opposti ma politicamente onesti, come Pier Paolo Pasolini e Giovannino Guareschi (La rabbia) mi ha confermato una volta di più che fra destra e sinistra non esiste l’ideologia perfetta che da sola abbia risolto i problemi del mondo. Quindi, anche chi crede fortemente e legittimamente nelle proprie idee non può pensare che quelle siano le idee giuste nel 100% dei casi.

Già partire da qui, ritrovando la capacità di ascoltare e rispettare chi non la pensa come noi, sarebbe fondamentale e ci arricchirebbe. E poi, appunto, è il momento di tornare a seminare sorrisi come nella battuta iniziale: anche perché non ha senso lamentarsi dell’aggressività dei giovani se poi l’esempio che noi diamo a loro è proprio quello che li porta nella direzione sbagliata…

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