Splendida ma nascosta. E lui è proprio come la Parmigianità: se ne sta a sua volta appartato, e dimenticato almeno per 364 giorni all’anno, in uno splendido
oratorio d’Oltretorrente, inglobato in un contenitore che è insieme storia della generosità di ieri e della confusione di oggi.
Stiamo parlando di Sant’Ilario, il patrono che oggi Parma celebra ufficialmente con una serie di manifestazioni, e dell’oratorio a lui dedicato. Un piccolo scrigno prezioso: e già qui sarebbe curioso capire dagli alfieri della parmigianità strillata da quanto tempo non mettono piede nel Sant’Ilario di via D’Azeglio all’interno dell’eterno cantiere dell’Ospedale Vecchio. Il fatto stesso che l’apertura della chiesa sia limitata al giovedì, in concomitanza con il mercatino sotto i portici, o ad occasioni particolari come appunto il 13 gennaio la dice già lunga su quanto poco Parma stia valorizzando una data e una storia alla quale pure ci diciamo frettolosamente legati.
Andiamo allora con ordine, e iniziamo con due partole su questo Ilario. Da Poitiers (e che, potevamo sceglierci un patrono che non fosse internazionale…?), quindi francese e vescovo di quella città, teatro nel 732 di una fondamentale dell’esercito franco contro l’avanzata in Europa degli eserciti arabi. Ne fu protagonista Carlo Martello, poi celebrato in una famosissima canzone scritta insieme da Fabrizio De Andrè e Paolo Villaggio (“Re Carlo tornava dalla guerra…”).
La nostra storia, però, avviene quattro secoli prima. E verrebbe da dire che il vescovo di Poitiers non se la cavava benissimo, se arrivò a Parma – forse diretto a Roma – con delle scarpe ormai rotte. Ebbe pietà di lui un umile ciabattino, che gli fece dono di un paio di scarpe nuove: e all’indomani, una volta ripartito il vescovo pellegrino, il calzolaio ebbe la sorpresa di vedere che le scarpe vecchie lasciate dall’ospite si erano trasformate in scarpe d’oro.
Quando Sant’Ilario divenne patrono di Parma (data e circostanze non sono mai state ben chiarite), nacque anche la tradizione delle “scarpette di Sant’Ilario”, un dolce a forma appunto di calzatura. E dal 1987, come noto, a Sant’Ilario Parma dedica anche le premiazioni di alcuni suoi figli distintisi in vari campi. Ma di questo parleremo domani.
Torniamo invece al Patrono, per rimarcare due cose che hanno sicuramente a che fare con la nostra ricerca sui pilastri della Parmigianità, da ricordare a noi stessi e da condividere con i parmigiani nuovi arrivati, per favorire una integrazione senza conflitti. La prima è nella leggenda che abbiamo raccontato: la storia di Sant’Ilario ci ricorda che la vera Parmigianità è quella incarnata dal ciabattino, ovvero la voglia di aiutare chi ha bisogno e di non pensare solo al proprio tornaconto. Una generosità che forse non produce sempre oro materiale come nella leggenda del vescovo di Poitiers, ma che vale comunque oro, per chi dà e per chi riceve aiuto.
E la seconda cosa, che a sua volta si lega al racconto e anche a uno dei “pilastri” che abbiamo individuato nelle puntate scorse, è l’invito ad andare almeno una volta all’anno ad ammirare quel piccolo oratorio. Che è davvero bellissimo e che inoltre ci può appunto ricordare, nel cuore di un quartiere non senza problemi, su quali basi si può costruire la Parma del futuro.
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Gennaio 13, 2025 il 3:28 pm
Anche San Teobaldo Roggeri di Vicoforte Mondovì ad Alba fece il ciabattino e realizzò il miracolo della farina. Tutto il mondo è paese.
Gennaio 13, 2025 il 3:37 pm
e poi altri ciabattini…q
uando andavo al THEATRO del vicolo, in Vicolo Asdente, non mi chiedevo chi fosse l’eponimo , ma nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno Dantesco, lo ritrovo lacrimante sulle proprie natiche, un ciabattino aruspice capace di prevedere la sconfitta dell’Imperatore Federico II per una sortita delle milizie guelfe assediate a Parma.( ma non la sortita di Pizzarotti e Tassi-Carboni su Federico di Svezia)
…vidi Asdente,
ch’avere inteso al cuoio e a lo spago
ora vorrebbe, ma tardi si pente…
Fra Salimbene ricorda l’Asdente nel 1282: lo descrive come uomo di semplici e puri costumi, timorato di Dio; dice che è soprannominato Asdenti, cioè Sdentato, per una ironia sulla sua dentatura lunga e disordinata che gli impediva di parlare bene anche se capisce bene ed è ben capito (p. 740). Il frate aggiunge che, sebbene illetterato, il ciabattino era persona cortese e gentile, capace di comprendere e di interpretare gli scritti di quanti avevano predetto il futuro, e cioè gli scritti “abbatis Ioachim, Merlini, Methodii et Sibille… necnon et Michaelis Scoti, qui fuit astrologus Friderici secundi imperatoris condam”.