C’è anche una bella panchina lunga, come impone il calcio di oggi. E sarebbe davvero bellissimo assistere agli allenamenti: soprattutto alle partitelle che, ne siamo certi, meriterebbero

già da sole il prezzo del biglietto.

Ad allestire la rosa, è stato il parmigiano Remo Gandolfi, che per dirla in termini calcistici vede il gioco come solo i numeri 10 sanno fare. Solo che lui usa palloni di carta: libri che immergono in un calcio romantico e coinvolgente. E lo stesso effetto l’ottiene quando i racconti sono anche solo a voce. I suoi “Matti, miti e meteore” (edizioni Urbone Publishing) proseguono nel calcio italiano le incursioni già effettuate ad esempio nel calcio dell’est o in quello sudamericano.

Immaginate allora che dal portiere Pazzagli la palla salga passando per Armando Picchi (per la verità più deputato a difendere che a costruire) e poi da Lodetti arrivi a Loik o Brady, pronti a imbeccare Bettega o Anastasi, o nomi meno celebrati ma con un concretissimo pedigree di gol quali Riganò o Penzo. Oppure in attesa dei letali inserimenti di Aldo Maldera.

E’ un continuo svariare, fra reti e storie, anche nel seguito fuori dal campo di vite non sempre felici e fortunate. Gandolfi ci racconta 30 personaggi sempre in bilico fra prodezze e momenti di gloria e sgambetti del destino, sotto forma di infortuni o peggio. Oppure di insidie non dribblate a dovere, come in qualche caso l’alcol.

Ve lo consiglieremmo comunque, in questo blog parmigiano. Ma se poi volete aggiungere due ciliegine casalinghe, fra un Virdis, un Cucchiaroni e uno Spadoni vedrete spuntare anche Alessandro Lucarelli, il capitano di quel viaggio incredibile dalla A alla D e ritorno.

E altrettanto emozionante è il breve ritratto dedicato a Bruno Mora, certamente il più grande fra i calciatori di casa nostra (pur ricordando anche i Berti o i Pioli). Grande quanto sfortunato: prima in campo per quella doppia frattura che praticamente ne concluse la carriera nel 1965 (ma ebbe l’umiltà di venire ad aiutare il Parma che oscillava allora fra serie D e C); e poi irrimediabilmente, per il male che lo strappò agli affetti e al calcio, nel quale era diventato bravissimo allenatore di giovani, a soli 49 anni.

Grazie, Remo: continua a raccontarci questo Calcio.

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