Cerco di fare capire lo spirito costruttivo di questo articolo partendo da destra. Non sono fra coloro che si sono rallegrati per il fatto che la manifestazione pubblica di Fratelli d’Italia sotto i Portici del Comune non sia stata un’adunata di massa: anzi alla destra, anche a Parma, bisogna dare atto di avere sollevato per prima – pur fra molte contraddizioni di cui diremo – il problema della sicurezza. Poi vedremo anche
il “come”, che non è certo un dettaglio; ma è comunque un dato di fatto che il centrosinistra, su questo argomento, sia storicamente più timido, al punto da farlo a volte sembrare un tabù.
Ma allo stesso tempo, il sabato appena trascorso si è tradotto nell’ennesima occasione persa su un tema vero e serio: occasione persa sia da parte di chi ha forse forzato le tappe forse per fare bella figura con il ministro Foti quel giorno a Parma, sia da parte di chi nei commenti non va oltre la soddisfazione per una partecipazione parziale della cittadinanza, che però è in gran parte sensibilissima a questo tema. Ed è allora proprio partendo da questo sabato che Parma potrebbe e dovrebbe guardarsi agli specchi (plurale: per indicare sia gli specchi di sinistra che quelli di destra) e mettere le basi per un dibattito vero.
Partiamo dai fatti. Senza confondere Parma con Chicago anni ’30 o con Caivano (località che non cito a caso, come vedremo fra poco), il problema della sicurezza in città esiste. A patto di precisare che non è più fatto di rapine in banca (a volte con sparatorie mortali), di tragedie giovanili (via Colorno/via Isola/Federale, per chi ha memoria corta), di 7/8 scippi al mese… E il corollario di questo è che il problema-sicurezza, con buona pace di smemorati, neofiti “laureati” sui social e civici di ieri e di oggi, esiste a Parma da almeno un quarto di secolo. Nel 2003 l’associazione I nostri borghi (benemerita per l’attenzione che ha sempre dedicato al tema) già denunciava che nella zona di via Garibaldi e dintorni “la gente ha paura a uscire di casa anche di giorno”; nel 2011 (alla fine dei 13 anni di centrodestra/civici) Parma era al 91° posto sul Sole 24 ore per la percezione di sicurezza dei suoi abitanti. E poiché in questi giorni si è improvvidamente parlato di parchi e spaccio come fosse una novità, nel 2008 la situazione del Parco Falcone Borsellino già giustificava le operazioni di un nucleo antidroga della Polizia municipale, anche se poi l’intervento si risolse nella storiaccia nota come caso Bonsu e gestita goffamente sia a livello di intervento che poi di gestione politica. Insomma: la sicurezza è un problema annoso, e lo è anche a Parma. Punto e a capo.
Premesso questo, però, solo un cieco non vede che nel 2025, a fronte di alcuni reati scomparsi o fortemente diminuiti (tipo appunto le rapine con sparatoria), Parma registra un inquietante incremento di quelle che chiamavamo baby gang già un decennio fa, con le nuova caratteristiche dei numerosi coltelli e con il connotato, innegabile almeno in molti casi, della multietnia e della mancata integrazione di troppi giovani. Quindi, per chi è obiettivo, non è vero né che la sicurezza a Parma sia un problema di oggi né che la sicurezza a Parma oggi non sia un problema. Chiaro il concetto? Allora andiamo al sodo.
Le baby gang e la violenza giovanile vanno bloccate al più presto. E poiché il problema non è certo un’esclusiva parmigiana (cosa che nelle “panolade” di solito viene omessa o dimenticata), men che meno può essere solo un problema di un Comune o della sua Polizia locale, che peraltro (come ha capito chi ha guardato seriamente il video di via D’Azeglio) non ha certo la mentalità e le modalità d’intervento di Polizia o Carabinieri.
Invece che “sfidarsi” a suon di manifestazioni frettolose e di commenti altrettanto frettolosi, destra e sinistra dovrebbero semmai gareggiare (mettendole insieme) a suon di idee concrete. Lasciamo da parte i proclami, come quello secondo cui “il problema baby gang sarà risolto dal decreto Caivano” (ecco perché ho citato prima Caivano): occorre invece una miscela intelligente di repressione (nel senso di bloccare chi commette reati e di bloccare chi anche “solo” gira con coltelli in tasca), prevenzione e ri-educazione.
Ecco perché citavo all’inizio Mario Tommasini e Mino Martinazzoli. Il primo ha sempre rivendicato, fatti alla mano, che Parma negli anni ’70 seppe dialogare con quella rabbia giovanile che non lontano da noi (Reggio) fece nascere le Brigate Rosse, e che qui produsse la morte violenta di Mario Lupo per mano di neofascisti. Ma poi, lo stesso Tommasini coinvolse l’allora Ministro della Giustizia (Martinazzoli) quando si trattò di individuare un percorso per i cinque ragazzi responsabili dell’omicidio di Stefano Vezzani al Federale.
Ecco la chiave: istituzioni locali e governo. Insieme, senza il teatrino penoso per due voti in più. C’è da fare per tutti, cittadini compresi, per inventare qualcosa come seppero fare quel ministro e quell’assessore negli anni ’80. E in palio c’è qualcosa di più della questione rave-party di cui tanto si parlò due anni fa… Provate e proviamo a lavorare insieme, prima che sia una tragedia a imporcelo, come accadde allora.
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