Il Sant’Ilario è bello. Subito dopo arriva il “brutto”, la recita. Ma ora che si è chiuso il sipario sugli scontatissimi commenti al discorso del sindaco (deludente per chi è all’opposizione e positivo per gli esponenti della maggioranza), si può parlare seriamente della Festa del Patrono. E soprattutto, possiamo
provare a capire che cosa portarci dentro di una giornata che non può essere uguale alle altre, per una città.
Innanzitutto gli esempi dei premiati: due ottimi nomi. Il generoso lavoro medico nei luoghi di guerra di Franco Masini e l’ormai consolidata fama del baritono Luca Salsi rappresentano due eccellenze, e due bei modi di incarnare la vera Parmigianità: generosità, solidarietà, professionalità, bonomia. A chi contesta la validità di questa cerimonia che ormai si svolge dagli anni Ottanta, è giusto replicare che se i nomi sono scelti bene come le due Medaglie d’oro appena citate (e ovviamente il discorso si allarga poi agli attestati di benemerenza), il premio indica ogni anno dei modelli di comportamento a noi parmigiani ma anche a chi a Parma arriva da lontano. E neppure questo va sottovalutato.
Poi mi è piaciuta la cerimonia, condotta dal presidente del Consiglio comunale Alinovi. L’inno, la panchina rossa che è simbolo non inutile finché ci saranno donne uccise dagli uomini per cultura del possesso, il momento dei giovani, l’ingresso contemporaneo di sindaco e vescovo dopo le altre autorità… Certo, qui c’è anche un inevitabile effetto passerella, ma allo stesso tempo c’è l’immagine di una unità fra tutte le istituzioni che andrebbe semmai replicata anche nei giorni a seguire.
A proposito di coesione, importanti le parole dello stesso Alinovi (ha citato “i miei consiglieri”, ricordando che al di là delle fazioni il consiglio comunale deve avere un unico interesse, che è quello della Città) e del sindaco, che nell’affrontare il tema migranti ha sottolineato che la colpa non si deve ascrivere al governo: semmai, ha fatto capire, gli ultimi mesi ci dimostrano che il problema è ben più ampio rispetto al colore di chi governa il Paese.
Guerra ha dimostrato ancora una volta di essere un sindaco “bravo a parole”, come l’ho già definito in senso non riduttivo. Le parole, i messaggi, i valori sono importanti. E Michele Guerra si è confermato uno dei migliori, in questo campo, fra i vari sindaci che abbiamo avuto.
Ma ora, in che modo dare seguito e concretezza? Una strada l’ha indicata il vescovo, e sarà una delle grandi occasioni del 2024: il centenario della morte di Padre Lino, che ci aiuterà a riscoprire la storia più bella della Parmigianità: una storia nata in Croazia ma poi Padre Lino fu capace di conquistare il cuore di tutta la città. E la sua fu anche una storia molto concreta e senza fronzoli ideologici.
Poi, certo, occorreranno concretezza e lavoro comune. Sul tema sicurezza, ad esempio, chi fino a due anni fa chiedeva per ogni fatto di cronaca la cacciata della Lamorgese non può oggi pensare di far credere che l’ordine pubblico sia un problema più del sindaco che delle forze di polizia… Ognuno deve fare la sua parte, possibilmente con meno comizi e con qualche autocritica (i tagli alle forze dell’ordine sono venute anche da governi simili a quello attuale). E poi, ovviamente, aeroporto, stadio e le altre questioni agenda chiedono risposte chiare e trasparenti.
Se il discorso vale anche per l’opposizione, a maggior ragione vale per chi ci governa. Senza giri di parole, nell’azione della maggioranza c’è ancora qualche scoria delle divergenze fra le due componenti fondamentali (Pd e Effetto Parma), e in ognuna delle due si deve pensare prima alla squadra e poi agli aspetti personali. Non serve dire altro: ai tempi di social e astensionismo, i cittadini non aspettano e vogliono fatti concreti da giudicare, quindi – in quel consiglio comunale – c’è da cambiare passo per tutti.
Sant’Ilario ha portato, come ogni anno, le sue scarpette. Speriamo che in Comune ne abbia lasciate da…salto in alto, perché più in alto possa volare la città.
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