Se guardiamo a Verdi fuori da ogni retorica, e a quel simbolo che è

il Va’ pensiero, c’è già dentro molto di quella Parmigianità positiva e condivisibile che stiamo cercando in questo piccolo viaggio.

Anzi, parlando di Verdi ci sono insieme la fondatezza e la vacuità di tutta la nostra ricerca. Da una parte, infatti, quello di Verdi è il nome che nel mondo più si accosta a Parma; dall’altra, oltre ovviamente ad appartenere al mondo di per sé come ogni genio, Verdi proprio parmigiano non è. Se lui stesso si definiva orgogliosamente “un paesano delle Roncole”, Verdi è anche di Busseto, è “francese” (il luogo in cui nacque faceva parte del Dipartimento del Taro voluto dalla Francia napoleonica), è milanese, è internazionale per le tante opere create altrove, ed è infine piacentino (sia per l’origine della sua famiglia sia per la scelta di trasferirsi nella seconda parte della sua vita a Villa Sant’Agata, che come sappiamo attende ora di essere restituita al pubblico.

Ma poiché Verdi è comunque definibile parmense, è giusto anche che nella ricerca di un dna positivo da offrire e proporre alla convivenza positiva con chi arriva si cerchino in lui proprio quelle radici che hanno poi fruttato messaggi elevati e appunto al di là dei confini. Verdi è certamente questo: ed è un altro dei temi di cui magari ci riempiamo la bocca senza conoscerlo, e che quindi dovremmo studiare e divulgare in modo molto più concreto.

Sono tanti i temi trattati da Verdi e legati alla natura umana. Ma fra i tanti, traendo spunto proprio dal Va’ pensiero, c’è la coralità. Il Maestro bussetano ha scritto questo e altri cori da brividi, e in quella coralità c’è uno degli insegnamenti più importanti che una collettività possa avere. Forse anche da questo amore per la coralità, Verdi era amato da Giovannino Guareschi che in lui cercò per vari aspetti di rispecchiarsi, e che un piccolo ma straordinario coro ha creato a sua volta, con i racconti di Don Camillo, Peppone e il Crocifisso parlante.

E dalla parola coro, è un attimo arrivare a cór, che in dialetto significa cuore. Anche facendo ascoltare qualche brano verdiano, per tanti anni c’è stato un “coro” che ogni domenica batteva i “palcoscenici” della case di riposo e degli istituti per anziani di Parma e Provincia: era il Cór di Felice da Parma e della Lidia: un manipolo di volontari che fra musica, poesie in dialetto, barzellette e altro, rallegravano alcune ore degli ospiti di quelle strutture. Una coralità ovviamente diversissima e più circoscritta, eppure ugualmente capace di dare agli altri: nel segno della migliore Parmigianità, che è quella che tutti noi dovremmo coltivare.

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