Partire dalla fine, per capire una vita di soli 53 anni. Una vita che però dura ancora, dopo altri 50 anni…

Una vita particolare, come

poche altre nel panorama degli intellettuali italiani del dopoguerra.

Partire dalla fine con Pier Paolo Pasolini significa anche rendere omaggio a Furio Colombo, il noto giornalista-scrittore (e politico) che ci ha lasciati proprio in questo inizio di 2025: l’inizio e la fine, che quindi ancora una volta si mescolano. E nel caso di Pasolini, la fine (non solo la sua, violenta e non ancora completamente chiarita) è davvero un filo conduttore di tanta parte della sua opera.

Ma andiamo con ordine, seppure nella preannunciata direzione del nostro flash-back. L’ultima intervista di Pier Paolo Pasolini, rilasciata appunto a Furio Colombo, è di poche ore prima del suo omicidio: anzi, quell’intervista non era ancora del tutto conclusa perché Pasolini aveva chiesto a Colombo di poter riflettere ed ampliare all’indomani, preferibilmente in forma scritta, alcuni dei concetti solo toccati nel corso della chiacchierata con il giornalista. Gli promise questo aggiornamento per la mattina successiva: ma quella mattina (2 novembre 1975) arrivò invece la notizia che sconvolse l’Italia: Pasolini era stato ucciso.

Quella morte 50 anni dopo è ancora non chiarita. La responsabilità ricadde interamente su Pino Pelosi e fu, almeno inizialmente, attribuita a un tragico litigio fra i due durante un loro rapporto sessuale. In realtà, già nella sentenza fu riconosciuta la presenza sul luogo dell’omicidio anche di altre persone, cosa che peraltro spiegherebbe anche il fatto che Pelosi fosse riuscito da solo ad avere la meglio su una persona atletica come Pasolini. E certamente resta il rammarico nel pensare che le tecnologie di investigazione scientifica di oggi (su dna e altro) avrebbero potuto certamente gettare luce su quell’uccisione.

Proprio questo mistero rende ancor più inquietante il titolo che, rispondendo alla domanda di Colombo, Pasolini aveva abbozzato per quell’intervista: “Perché siamo tutti in pericolo”. E non credendo personalmente all’ipotesi della “morte cercata” quasi come un martirio, quel titolo fa pensare a uno stato d’animo turbato; e se è riferito certamente alla situazione generale del Paese, non vi si può non cogliere forse anche una preoccupazione personale. Certamente le notti di Pasolini erano da sempre su un crinale di rischio, ma in quelle settimane si erano ripetuti alcuni segnali misteriosi e un po’ inquietanti (come il furto delle copie del film Salò, che sarebbe poi uscito postumo).

Ma lasciamo ad altre investigazioni gli aspetti legati a quella notte. L’intervista di Furio Colombo, oltre ad esprimere i turbamenti e le paure di Pasolini, è evidentemente anche il suo “testamento” giornalistico, che va quindi studiato e ristudiato con particolare attenzione per tutto ciò che esprime, visto che sono fra le ultime parole “pubbliche” del poeta.

C’è all’inizio un omaggio ai radicali (“quattro gatti che smuovono la coscienza di un Paese”) al cui convegno Pasolini avrebbe partecipato nei giorni successivi, pur non essendo sempre d’accordo neppure con loro. E nelle riflessioni successive, c’è qualcosa che suona terribilmente attuale, come se uscisse da una voce del nostro 2025: “La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra”. Mezzo secolo prima dell’intelligenza artificiale e del trionfo di web e social, c’è già tutta la spersonalizzazione che Pasolini aveva visto prodursi a partire dal consumismo del boom economico e dalle prime mercificazioni di massa, che già allora producevano l’effetto di omologare le menti e le culture che si erano mantenute intatte perfino di fronte alla dittatura fascista.

C’è una lettura raffinatissima della violenza, che può avere come mezzo una spranga (erano gli anni della violenza politica e dei tanti giovani uccisi, a destra o a sinistra) oppure un cda, e che ha raggiunto una trasversalità che trascende anche la differenza fascisti-antifascisti: qui, dice Pasolini nel 1975, “c’è la voglia di uccidere”. Che a sua volta è il frutto dell’educazione unificante, allo scopo di “avere tutto a tutti i costi”. E chi si ribella a un padrone lo fa per diventare a sua volta quel padrone…

Le domande di Colombo consentono a Pasolini anche di precisare la sua paradossale proposta di abolire la scuola dell’obbligo e soprattutto la televisione. Non significa abolire la scuola per creare masse ignoranti, ma così ammonisce Pasolini: “Voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere”. Vediamo oggi qualcosa di diverso, se nel 2025 ci mettiamo davanti allo specchio? E forse non è cambiata neppure la necessità di un medico che crudamente sappia dirci: “Signori. questo è un cancro, non è un fatterello benigno”.

Quella diagnosi, purtroppo, è ancora attualissima, e le tecnologie rischiano di esserne le metastasi. Chissà se per rispondere all’ultima fondamentale domanda di Furio Colombo (“Come pensi di evitare il pericolo e il rischio?”) un barlume di speranza sarebbe stato contenuto nelle parole che Pasolini avrebbe scritto all’indomani (“Ho una cosa in mente per rispondere alla tua domanda”). Ma non ce ne fu il tempo.

Quella notte abbiamo perso un poeta e un intellettuale di sensibilità e di capacità di analisi della società italiana mai più riviste. Non perdiamo allora, dopo mezzo secolo, quelle sue ultime e ancora attualissime parole.

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