Quando finisce un amore, fa effetto anche nel calcio. Da allora giovane cronista, fu un piccolo trauma il licenziamento di Cesare Maldini: il primo allenatore del Parma

con cui avevo avuto a che fare e di cui (per una fortunatissima serie di coincidenze) avevo vissuto e raccontato, unico giornalista presente, la settimana del ritiro ad Arcugnano prima dell’indimenticabile e vittorioso spareggio di Vicenza. Mi sembrò impossibile che la stessa persona che pochi mesi prima aveva regalato a Parma una delle più belle promozioni, in rimonta, fosse ora diventata una zavorra.

Imparai lì una delle leggi del calcio: senza risultati, paga spesso l’allenatore, e le emozioni del passato non contano di fronte agli insuccessi del presente (specie se, come in effetti era in quel caso, l’allenatore si è messo contro lo “spogliatoio”, dove si narravano diversi tipi di litigate). E ancor più dispiacere mi diede, qualche anno dopo, l’esonero di Zdenek Zeman, che ci aveva regalato la più bella ma effimera estate calcistica ed era poi naufragato all’impatto con il campionato.

Pecchia non l’ho mai conosciuto. So che l’anno scorso, oltre che vincente, il suo e nostro Parma era talmente bello da vedere che si faceva preferire a molte squadre anche blasonate di serie A. E forse, da quanto ho visto e letto, un “peccato di bellezza” (che a volte diventa narcisismo o sterile leggerezza) è forse alla base dei risultati insufficienti che hanno portato anche in questo caso all’esonero dell’allenatore, che a sua volta ci aveva illuso anche in serie A nell’estate scorsa ma che poi non ha saputo adeguarsi alle più concrete necessità di una classifica progressivamente peggiorata.

Non mi avventuro nelle analisi calcistiche che lascio a chi è più competente e informato di me. Mi viene però da sottolineare che (come già leggevo lo scorso anno a Milano per il nostro concittadino Pioli) a volte le legittime critiche diventano sui social insulti. A parte la gratitudine calcistica, non stupiamoci poi se vediamo aggressivi e violenti i nostri giovani, visto che questi sono i nostri esempi…

E qui dal Parma calcio passiamo a Parma (senza dimenticare la questione sempre aperta del futuro dello stadio). Già sul tema della sicurezza ho fatto notare che la “squadra” Parma vive da mesi su uno stucchevole e sterile dibattito che non porta a nulla e lascia nel frattempo marcire il vero problema, che è soprattutto quello dei giovani violenti (leggi qui l’articolo). Anche qui, come al Tardini, serve un guizzo in più: e serve soprattutto aiutarsi l’un l’altro come nelle rincorse all’avversario sul campo.

I casi sono due. O la questione sicurezza è seria (secondo me lo è per la questione baby gang) e allora non si può – per ragioni di propaganda – ridurla a un problema di Polizia Locale. Perché se invece fosse un problema “solo” di Polizia locale, allora sarebbero esagerate certe denunce poi girate anche alle tv di Mediaset e ad altri media nazionali.

Ripeto per la milionesima volta. Parma non è Chicago anni ’30, così come non era un’isola felice 20 anni fa. Noi dobbiamo pensare soprattutto all’oggi, e quando le cronache propongono ripetuti episodi di bande di ragazzi spesso anche con coltelli, in campo devono scendere i giocatori più adatti: ok la Polizia Locale, che può e deve fare ancora di più, ma anche tutto ciò che fa capo al Viminale o comunque a Roma, ovvero numero e pattugliamenti adeguati da parte di Polizia e Carabinieri.

Il tempo c’è in entrambi i casi. Ma se non ci diamo tutti una mossa, allora sì che Parma rischierebbe una retrocessione: nel calcio e non solo.

(PS – La foto a tinte gialloblù è durante un autolavaggio: chissà che non sia di buon auspicio anche per il gialloblù del calcio e della città…)

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