Vado quasi più per “dovere” che per convinzione, anche ricordando quel borgo Galaverna al cui fianco ho vissuto – in borgo Marodolo – per 16 anni. Ma che cosa può raccontarci una storia del 1825 intanto che

piovono sul mondo bombe e follie?

La storia è appunto quella di Domenico Galaverna, ritenuto il maggior poeta in dialetto di Parma dell’Ottocento (poi vennero Pezzani e Zerbini a caratterizzare invece la poesia dialettale del Novecento). Ed è anche la storia, da lui creata, di Batistén Panäda, che è una delle prime invenzioni letterarie “strutturate” del nostro vernacolo.

Vado quasi per dovere, dicevo, proprio perché ritengo una grave lacuna, per un parmigiano innamorato della nostra storia e della nostra cultura, non conoscere praticamente nulla né di Batistén (che nel tempo ha conosciuto varie grafìe) né del suo papà letterario. E anche il primo sapore della storia sembra quello, un po’ ammuffito, del nostro Risorgimento scolastico e quindi lontano: il primo Lunario di Galaverna, ci spiegano nella sede della Famija Ubaldo Delsante e Maurizio Landi, coincide con la prima guerra di indipendenza, tanto per dare un’idea della lontananza dal nostro terzo millennio, anche se di guerra purtroppo parliamo ancora…

Eppure c’è anche tanto fascino (grazie anche alla passione dei due relatori) in quel mondo di xilografie, burattini, vecchie tipopgrafie, lunari da astrologi… E piano piano vien fuori il ritratto di questo segretario comunale dalla fervida inventiva: il suo Batistén è personaggio di miseria (Panäda indica una minestra povera di ingredienti), quasi una maschera ingenua e un po’ sfortunata ma con una sua purezza indifesa, che ce lo rende fuori moda e quindi…attualissimo, visto con le lenti ciniche di oggi.

Ci sono ben 27mila versi, nati dalla lettura dei grandi poeti antichi (da Dante a Petrarca) ma anche dai versi dialettali del milanese Carlo Porta, e ci sono illustrazioni che contengono nomi interessanti di storia della grafica e dell’arte (Erberto Carboni, Latino Barilli…). Sì: varrà la pena di approfondirlo, questo lascito poetico del nostro dialetto lontano: e da lì, magari, potrebbe nascere anche qualche stimolante nuovo studio sul nostro dialetto.

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