Quando Angelo Pennoni scattò nel 1961 questa foto che mille volte ho visto su libri e web, spesso con la parte destra tagliata e senza citare l’autore, non poteva immaginare che
stava immortalando un pezzo di futuro del cinema italiano, destinato a incidere per decenni.
A sinistra c’è l’energia di Franco Citti, spontaneo autodidatta eppure efficacissimo Accattone: figlio delle borgate e insieme il primo “Cristo” (qui nel senso di un povero Cristo) della filmografia pasoliniana e della sua costante e originale ricerca del sacro, anche fuori dal recinto strettamente religioso. Sulla destra, il neo-regista Pier Paolo Pasolini, che negli anni precedenti ha iniziato ad affermarsi come romanziere e poeta, sembra un bambino alle prese con un giocattolo nuovo. Da una parte sembra imitare in parallelo il movimento di Citti, che sta scattando per azzuffarsi in una rissa nella polvere che sarà nobilitata dalla musica di Bach; dall’altra, il suo sguardo si spinge oltre per abbracciare la scena nella sua completezza, con questo nuovo linguaggio che lo ha conquistato proprio per il coinvolgimento anche fisico che c’è nel dirigere sul set.
E anche se in molti casi questo pezzo di foto viene tagliato, il suo vero valore sta nel fatto che alla destra della foto e al fianco di Pasolini c’è anche un concentratissimo e quasi preoccupato vice-regista che a sua volta scriverà pagine luminose (anche in senso letterale, nella collaborazione con Vittorio Storaro e la sua splendida fotografia): Bernardo Bertolucci.
Una foto quasi simbolica, di una affinità intellettuale che diventerà poi inevitabile diversità, fino al vero e proprio contrasto che dividerà Pasolini e Bertolucci ai tempi di Ultimo tango a Parigi (ne riparleremo in un prossimo articolo). Ci sarà solo il tempo, qualche mese prima della morte violenta di Pasolini, di riunire i due e le rispettive troupes, impegnate contemporaneamente in Salò e Novecento, per la ben nota partita di calcio parmigiana, più volte ricordata con sospetti e polemiche sul campo ma con una sostanziale riappacificazione fra i due registi.
Tornando a Pasolini e a quel debutto, da Accattone in avanti il cinema diventerà un importantissimo aspetto espressivo dell’opera pasoliniana. Franco Citti e i suoi amici aggiungono il soffio della vita (sullo schermo) rispetto agli ambienti già descritti nei due primi romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta. E al film d’esordio seguirà poi un nuovo esperimento (la parola si adatterà spesso alle pellicole del neo-regista bolognese), aggiungendo al cast preso dalla strada la professionalità straordinaria di Anna Magnani. Un connubio strano, che non convinse allora del tutto neppure lo stesso Pasolini ma che ci lascia oggi un film con alcuni momenti straordinari culminati nel “silenzioso urlo” finale di Mamma Roma/Magnani.
Sarà talmente preso, il primo Pasolini cinematografico, da gettarsi da subito in una produzione frenetica anche in questo campo: dopo Mamma Roma arriveranno La ricotta, La rabbia con Guareschi, lo straordinario Vangelo secondo Matteo e poi via via tutti gli altri film fino a Salò. Ne riparleremo, in questo 50° post Pasolini, ma qui intanto riguardiamoci – grazie a Pennoni – quello straordinario fotogramma fuori scena. Cerchiamo di vederci quella gioia creativa che portò due poeti (Bernardo avrebbe vinto il Premio Viareggio l’anno successivo, poco prima del debutto come regista con La commare secca) a cercare le rispettive strade per realizzare un cinema di poesia, e di denuncia, che ancor oggi resta una delle più preziose eredità intellettuali del nostro Novecento.
LEGGI ANCHE: Pasolini 50 – Che cosa resta? 1) La ricerca atea del sacro della vita e della morte
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